I disturbi alimentari
a cura della Dr.ssa Iolanda Lo Bue
Il nutrimento è relazione, è un interagire tra le parti, tra il corpo di chi mangia, il corpo di chi nutre, ed il tempo/lo spazio in cui avviene questa relazione. Sin dalla formazione del feto la creatura si ritrova a vivere l’esperienza del nutrirsi tramite il cordone ombelicale.L’esistenza della creatura dipende totalmente dalla madre.
Dopo il parto, il bambino si nutre del latte materno fornito dal seno all’interno di una danza armoniosa tra i due corpi. Più il latte della madre risulta soddisfacente per il bambino, più il bambino/a apprezzerà il momento della nutrizione. La madre risulterà essere gratificante se corrisponderà alle richieste del bambino di attenzione,di amore, di sguardi reciproci, di contatto tra i due corpi che si trovano a danzare in una relazione di fiducia.
Nel caso in cui la relazione con il nutrimento risultasse ingannevole, ambigua, contraddittoria e insoddisfacente, come nel caso in cui la madre è assente, non comprensiva alle richieste del bambino/a, tardiva nel comprendere i bisogni ed irresponsabile, potrebbero sorgere quelli che sono chiamati disturbi dell’alimentazione, disturbi legati alle difficoltà relazionali al fidarsi/ affidarsi agli altri, all’ambiente, a tutto ciò che è diverso da sé.
I Disturbi dell’alimentazione sono disturbi che alterano le abitudini del nutrimento di una persona,
del suo entrare in relazione con il cibo in modo equilibrato ed armonioso, del suo “ascoltare in maniera attenta il bisogno della fame e della sete, del suo rapporto con la propria immagine corporea e del valore che attribuisce al cibo.
Quali sono le patologie, in questione, descritte nel DSM5?
Anoressia, bulimia, iperfagia o disturbo dell’alimentazione incontrollata, obesità, disturbi della nutrizione (feeding disorders: la pica, la ruminazione, il disturbo da evitamento/restrizione dell’assunzione cibo). Ciascuno ha una suo significato di esistere e di manifestarsi in base ad un profondo disagio non solo corporeo, ma esistenziale e relazionale con l’ambiente, con le figure di riferimento della propria vita o con il suo interagire con se stessa e con gli altri.
I disturbi dell’alimentazione, nella maggior parte dei casi, si presentano durante l’adolescenza e colpiscono generalmente il genere femminile, tranne nel caso del disturbo dell’iperfagia ed obesità che è molto presente nel genere maschile.
L’anoressia e la bulimia sono i disturbi prevalentemente femminili, si manifestano con un valzer drammatico del cibo e del corpo, ove la donna o divora il cibo o lo rifiuta, o fa entrambi nel caso della bulimia, dove divora il cibo e poi lo vomita.
Quali sono le condotte assunte dalla donna anoressica?
La persona che ne soffre si rifiuta di assumere il cibo, considerato un veleno, e si astiene da ogni fonte di nutrimento, resta in un godimento nel sentire il proprio corpo vuoto e del proprio nulla, un vuoto che in realtà viene vissuto in maniera masochistica con una sensazione di pienezza; ha un’ossessione per l’immagine del proprio corpo, iperattivismo, calo ponderale significativo, dispercezione della propria immagine corporea ed amenorrea. Inoltre l’anoressia viene vissuta come un trionfo, un governo esaltato dell’io e della sua mania di controllo di se stessa. Il corpo risulta imprigionato dalla paura di provare piacere, dal vivere il cibo come “ attraente, gustoso, piacevole, interessante”.
Il suo obiettivo è quello di raggiungere infatti un’immagine perfetta, compiuta ed esaltata di sé, un’immagine che la rende un’eroina di se stessa e che persegue un’ideale di magrezza illusoria, cercando di cancellare i rilievi, di appiattirne le forme, di assottigliare lo spessore del corpo, a tal punto da renderlo unisex, privo di sporgenze, liberato dalle differenze sessuali e dal sesso in quanto tale. Le abitudini del controllo del peso e della dieta diventano sempre più rigide, il tempo e lo spazio per attenzionare il corpo diventa totale, aspirando a diventare “ la più bella del reame”in maniera euforica. La paura terrorizzante dell’anoressica è quello di essere posseduta da una fame incontrollabile, da un urugano di vissuti e desideri che sente e che non riesce a domare dentro di sé stessa, tende ad avere un controllo estremo delle sue emozioni e dei suoi rapporti con gli altri. Il soggetto anoressico ha la capacità di controllare in maniera ossessiva il proprio peso. Nella scelta di rifiutare il cibo, possiamo ritrovare un atteggiamento di odio verso la vita e di rifiuto estremo nel dipendere dall’altro. Al contrario ne dipende totalmente, ma non si fida dell’altro in quanto può tradire, divorare, distrarsi, violare, ignorare o svalutare, far paura. L’anoressia, a livello relazionale, ci informa che la persona ha una fobia del legame, paura di legarsi all’altro per riceverne nutrimento; ma più rifiuta il cibo, più rifiuta l’altro, più ne dipende da esso. L’illusione più grande che sperimenta nel suo vissuto è il senso di onnipotenza,crede di poter vivere senza nessuno e di riuscire a fare a meno di tutto, godendo del senso di vuoto che è insito nella persona stessa. Inoltre,nell’anoressia a livello corporeo,possiamo osservare questo tentativo di distruzione della propria femminilità, vivendo con angoscia la morbidezza di un corpo in carne ed aspirando ad una totale rigidità di ossa che trasmettono freddezza e distacco dal proprio corpo, dalle proprie emozioni, dal proprio desiderio sessuale, il quale anche questo viene vissuto con angoscia, angosciante energia che pone la persona in un combattimento tra il desiderio di accettazione ed il desiderio di rifiuto. Lo sguardo della ragazza anoressica è uno sguardo che divora con gli occhi, ma non riesce ad ammetterne di volerne e di averne paura di provare un forte godimento e piacere che dipende dall’altro, e non solo dal proprio vuoto corporeo. L’anoressica è disposta a morire per amore, rinunciando al suo desiderio di vita, annichilendo ogni sensazione del suo essere e del suo corpo. A livello Psicoterapeutico, è importante accompagnare le pazienti che ne soffrono nel riconoscere i propri bisogni, desideri, nel poterli accettare senza vergogna, e nel saperli integrare nella loro vera identità, ove vogliono restare unici ma riconoscendo che il cibo dato dall’altro è nutrimento, cura, amore e disponibilità. La cura psicologica, ed a volte anche farmacologica per i casi più gravi, serve a ristabilire un certo equilibrio affettivo connotato da un’ambiguità che crea confusione tra ciò che sentono, tra ciò che provano a livello corporeo e come percepiscono la propria immagine corporea, dismorfismo corporeo, ovvero la dimensione corporea viene percepita deformata e non aderente alla realtà. Le donne si percepiscono sempre grasse con della carne da eliminare. Porle di fronte ad uno specchio significa accompagnarle ad accettare la propria immagine, considerata nauseante e ingombrante.
Bulimia
La fame della paziente bulimica è una fame divorante, che non trova mai sazietà, che divora se stessa; non le consente di godere di ciò che mangia ed è incapace di fermarsi nel mangiare il cibo in maniera compulsiva. La richiesta di aiuto da parte sua è: “ mi faccia vivere qualcosa di più, che mi consenta di smettere di mangiare”. La mancanza vissuta dal soggetto bulimico è vissuta come non tollerabile, frustrante, “ mangio per non sentire la mia solitudine, per non sentire la mia fame d’amore” e “ vomito tutto quello che in verità non voglio e prendo comunque in maniera avida, ingorda”. Il cibo perde il suo valore di nutrimento e diventa solo qualcosa da assumere “al posto di…”. La persona bulimica non ascolta le proprie emozioni, vive tutto in maniera confusa, non riesce a distinguere ciò che prova ed alle volte vomita tutta la sua rabbia in maniera aggressiva,non centrando mai quale sia il suo reale problema. L’ambiguità e la contraddittorietà sono caratteristiche disarmanti di chi soffre di questo disturbo.
A livello sessuale riconosce di avere il desiderio, e si alterna tra l’eccessiva accoglienza ad un rifiuto totale. Il vomito è tra le condotte più frequenti evidenti emesse da chi soffre di bulimia, essa conduce allo svuotamento del proprio sentire e del rinnegamento di ciò che al corpo piace e non piace; spesso viene emessa in maniera nascosta senza che alcuna persona si accorga, dopo aver ingerito in maniera indiscriminata “ qualsivoglia cosa…”, a volte non si ricorda nemmeno cosa ha mangiato ed in che quantità. L’atto compulsivo diventa come un’ossessione, un rituale, una dipendenza di cui non riesce a farne a meno e il soggetto costruisce intenzionalmente i contesti in cui potrà fare ciò, diversamente si rifiuta di mangiare in pubblico o insieme agli altri, o assaggia in maniera schifiltosa il cibo o come se non fosse abbastanza interessato/a. Il lavoro psicoterapeutico con la persona bulimica è nel prendere consapevolezza del problema relazionale, spesso con la figura materna, percepita come invadente, simbiotica, con tendenza di depersonalizzaione e di confusione dei confini tra l’io-tu; le figlie bulimiche non si percepiscono esistenti senza la figura materna, ed hanno paura di manifestare la loro sofferenza per paura di dispiacerle. Lavoro molto come Psicoterapeuta sulla ricerca dell’identità della ragazza o della signora che soffre di questo disturbo, cercando davvero di ricreare i confini chiari ed il distinguere se stessa dall’altro, le proprie emozioni da quelle altrui, e rivalutando il suo mondo interiore non vuoto, ma riuscendo ad avere maggiore consapevolezza di chi è, cosa prova, cosa vuole o non vuole, cosa vuole mangiare e masticare, non più ingoiare e vomitare. Qualche volta con i pazienti di lunga durata della terapia, ci siamo confrontati di fronte ad una tavola imbandita di cibi, più il paziente si arriva a fidare della propria psicoterapeuta, più comincerà a gustare il cibo distinguendo i sapori, e cancellando il senso di colpa di aver desiderato e mangiato.
E’ bello il volto delle mie pazienti che mi dicono : “ con lei sono riuscita a mangiare senza sentirmi in colpa e poi punirmi”.
Ringrazio tutte quelle pazienti che mi hanno dato fiducia e si sono affidate al mio lavoro.
Iperfagia
E’ un disturbo che conduce ad un bisogno incontrollato di ingerire cibo in grandi quantità, causando un eccessivo aumento di peso, anche 100kg in più dal normale peso corporeo. L’iperfagico spesso è di genere maschile, arriva a mangiare in maniera smisurata senza avere controllo del livello di sazietà, ascoltano la fame ma non riconoscono quando sono sazi, quando non hanno più bisogno di mangiare, non hanno un ordine a livello di orari ed arrivano a mangiare anche la notte. Spesso soffrono di reflusso esofageo e di continue indigestioni che causano mal di testa, insonnia, e vomito.
Questa condotta eccessiva dell’uso di cibo spesso nasconde un problema a livello sessuale, il quale vive con vergogna il desiderare il corpo di una donna e preferisce fare un uso disordinato del cibo, mescolando tutto ciò che ha davanti, ingoiando senza una distinzione dei sapori.
L’iperfagico mangia in grandi quantità industriali, soprattutto cibi molto grassi ed oleosi e a volte per nascondere il suo vero problema sessuale, cerca di essere eccessivamente trasgressivo, parlando di sesso per risultare eccessivamente spavaldo e simpatico. Il lavoro che spesso eseguo con questa tipologia di pazienti è nel riconoscimento di ciò che realmente hanno bisogno e di aiutarli in un ascolto di sé meno fuggitivo e più circoscritto, invitandoli a fermarsi sul proprio sentire e sull’ascoltare anche i corpi altrui. L’iperfagico fatica nel processo di differenziazione con la figura materna e soffre la separazione dal corpo stesso della madre, a volte desiderato anche sessualmente. Freud parla a tal proposito del complesso di Edipo, dove il bambino desidera sessualmente la madre ed il padre lo vive come un ostacolo del suo desiderio.
Nella sua storia dell’infanzia il piccolo ha desiderato il corpo della madre, negando il suo desiderio per paura della punizione paterna. E’ importante aiutare il paziente a parlare della sua mamma e della conflittualità che ha vissuto con lei, in modo da portarlo alla consapevolezza di ciò che ha sempre nascosto.
L’obesità
E’ un disturbo che conduce ad un accumulo patologico di grasso corporeo creando delle conseguenze dannose per lo stato di salute. La persona che soffre di obesità non è consapevole del suo eccessivo abuso del cibo, del suo divorare il cibo e nega di aver mangiato abbastanza, a volte come la persona bulimica, mangia di nascosto dagli altri, ma lascia le tracce di ciò che mangia nei luoghi impensabili, il bagno o la camera da letto. Il cibo è il loro motivo di vita, programmano le loro attività in base al ritmo del nutrimento e di cosa devono mangiare. Spesso amano cibi grassi e distruttivi, “più il cibo mi fa male, più me ne nutro!”. La mentalità dell’obeso è di distruggere la propria persona, perché non merita di essere amato/a, il cibo diventa oggetto con il quale si punisce e di cui non riesce a farne a meno. Sarà importante aiutare la persona obesa in un percorso di perdono e riconciliazione con la sua storia e con il cibo. Spesso propongo loro di scrivere una lettera al cibo come se fosse una persona con cui relazionarsi, con cui poter esprimere il proprio gusto e disgusto della propria esistenza.
Conclusioni
L’accompagnamento psicologico delle persone con disturbi alimentari non è semplice poiché non riconoscono facilmente di avere un problema con il cibo, lo negano, lo nascondono a se stessi ed al mondo intero, si isolano non chiedendo aiuto e non manifestano il loro disagio relazionale. Come psicoterapeuta spesso sperimento la difficoltà del paziente nel separarsi dalla figura materna, ove per separazione si intende individuazione, affermazione di sé, uscire dalla relazione simbiotica per creare nuove relazioni con il cibo, con un/una partner, per gustare il nutrimento non come qualcosa di pericoloso, ma qualcosa che si prende cura di te, senza farti del male, in maniera armoniosa ed equilibrata. Attraverso la cura della psicoterapia si può superare la paura di mangiare troppo ed essere posseduti dal cibo, dal rifiuto del cibo per paura di sentire il desiderio della fame e dipendere da esso, dalla paura di essere ingannati dal nutrimento, dalla paura di trattenere il cibo senza vomitarlo o rifiutarlo, dal non sentire il limite della sazietà. Vi è un momento in cui il corpo impara a dire “si” al cibo senza pericolo, nel caso dell’anoressia, e di dire “no” nel caso della bulimia, ipergagia ed obesità.